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Donne protagoniste della Resistenza e della Liberazione. Tina Anselmi, staffetta partigiana

 

In occasione del 25 aprile, rendiamo omaggio a Tina Anselmi, protagonista della Lotta di Liberazione e della vita politica italiana, con un testo scritto per noi da Mauro Pitteri. Storico, con una lunga attività di insegnamento nelle scuole superiori, Pitteri ha dedicato alla figura di Tina Anselmi numerosi studi e pubblicazioni, tra cui “La giovane Tina Anselmi – Resistenza e sindacato (1944-48)” e “Tina Anselmi per le donne. Attività politica e parlamentare dal 1956 al 1992”, editi rispettivamente nel 2018 e 2022 a cura di CISL Veneto e Fondazione Corazzin. Dai suoi testi trae spunto il film “Tina Anselmi, una vita per la democrazia”, regia di Luciano Manuzzi, in onda il 25 aprile 2023 in prima serata su RAI 1.

Tina Anselmi staffetta partigiana
di Mauro Pitteri

Il contributo dato dalle donne alla Resistenza è stato determinante ma a lungo sottaciuto. Solo a partire dalla fine del secolo scorso se n’è parlato quando, finalmente, decine di staffette hanno deciso di raccontare le loro storie. Prima non si poteva, era sconveniente, la donna partigiana esulava dal cliché di sposa e madre che dal fascismo è transitato nell’Italia repubblicana. La loro purezza era stata contaminata dalle notti passate fuori casa o violata dalle torture e dagli stupri quando catturate dai fascisti. Meglio tacere, per non sentirsi guardate come delle poco di buono. La stessa parola staffetta è riduttiva. Quelle donne erano molto di più: nascondevano armi, curavano malati e feriti, facevano da sentinelle, organizzavano le vie di fuga, rubavano gli esplosivi, imparavano a sparare. Alcune di loro, come Tina Anselmi, nata a Castelfranco Veneto nel 1927, erano incredibilmente giovani. Rispetto alla vita abituale, relegate in casa, le libertà di cui godevano erano inusuali. Sole, indipendenti, con incarichi che richiedevano di andare lontano e di parlare con degli sconosciuti. In sella alle loro bici, macinavano centinaia di chilometri e perciò erano sempre affamate. Lo era anche la diciassettenne Tina Anselmi. Il suo prof di filosofia se n’era accorto e le lasciava una fetta di polenta dentro la tasca del cappotto.
Ebbene, se il suffragio femminile ha segnato l’inizio di quel faticoso percorso di liberazione della donna durato trent’anni, fino alla riforma del diritto di famiglia, lo si deve proprio a chi ha scelto la lotta antifascista dopo l’8 settembre del 1943, come ha fatto Tina Anselmi. Lei stessa lo afferma convinta: «La donna italiana già nella Resistenza aveva maturato un suo modo di essere nella politica. Noi non dobbiamo dimenticare che sono state quasi trentamila le donne che hanno combattuto nella Resistenza». Cifra che non appare esagerata, anzi se si legge quel combattere come repulsione alla barbarie nazifascista è addirittura prudente. Quante le donne che hanno resistito alla violenza feroce con un atto di bontà, soccorrendo i soldati sbandati, nascondendo partigiani, prigionieri alleati evasi o ebrei. Non era certo per convinzioni politiche che rischiavano la propria vita. Una di loro, Eleonora Candia, vicentina, è entrata nella Resistenza dopo aver udito le voci strazianti di madri che chiedevano latte per i figli provenire da un treno carico di ebrei e dopo aver visto una ragazza di sedici anni falciata alle spalle da mitra tedesco, colpevole di essersi avvicinata troppo ai binari.
Anche l’adesione della studentessa Tina Anselmi alla lotta antifascista fu etica e non poteva essere altrimenti, poiché la sua generazione era del tutto aliena da qualsiasi idea politica che non fosse quella inculcata dal regime, costretto suo malgrado a sopportare le associazioni cattoliche a cui Tina aveva aderito, apprendendo i principi del personalismo cristiano e della dottrina sociale della Chiesa. Che la sua scelta fosse etica prima che politica lo afferma lei stessa: «Ciò che mi ha spinto a partecipare alla lotta partigiana, sono state motivazioni prevalentemente morali ed umane. Contraddiceva alla mia concezione cristiana della vita, l’idea di uno stato che attraverso sue disposizioni negava fondamentali principi». Anche lei ha assistito a uno spettacolo orrendo, trentun giovani impiccati a Bassano del Grappa. Perciò, non appena una sua amica, fidanzata di un partigiano, le chiese se voleva fare la staffetta, aderì subito. Scelse il nome di battaglia Gabriella, ispirandosi all’arcangelo annunciatore. Frequentava l’istituto magistrale a Bassano del Grappa e ciò le permise di spostarsi in bicicletta da Castelfranco senza destare sospetti. Ha trasportato una radiotrasmittente, chiedendo con la sfrontatezza e l’incoscienza dei suoi diciassette anni un passaggio a una camionetta tedesca per non perdere troppe ore di scuola. Di notte, ha partecipato ad azioni di sabotaggio dei treni, ha atteso i lanci delle missioni alleate. Deve la vita a un suo compagno che l’ha spintonata via durante un mitragliamento. Il tutto all’insaputa della sua famiglia, ignara di «armi, dinamite, paracadute dei lanci» e altro materiale bellico nascosto da lei e da suo cugino nel pollaio di casa. Aveva una notevole capacità affabulatoria e questo le ha permesso di mettersi in evidenza e di diventare la «staffetta del comandante regionale», non senza una punta d’invidia da parte delle sue amiche. Come succedeva a molte, si è innamorata di un partigiano poco più grande di lei, studente di medicina ma troppo presto afflitto da una grave malattia. Ha partecipato alle trattative di resa con il comando tedesco di Castelfranco. Azione questa criticata, vista come un cedimento, ma si trattava di una peculiarità dei resistenti cattolici, se possibile, salvare vite, anche dei nemici, evitare rappresaglie e risparmiare distruzioni.
La Resistenza è stata l’esperienza formativa fondamentale per Tina Anselmi, da cui è derivato l’impegno sindacale, sempre a difesa delle donne, le filandiere della Castellana, e nella Dc, all’interno del movimento femminile democristiano. Terminata la sua carriera politica che l’ha condotta a essere la prima donna ministro della Repubblica, amava trascorrere molte sue giornate con i giovani, andava a trovarli nelle scuole dove ammoniva soprattutto le ragazze che non «devono rifuggire dall’impegno sociale e politico», poiché a loro nessuno avrebbe mai regalato nulla. Richiamava per loro la Resistenza, ricordava le tante giovani donne che non «si sottrassero alla chiamata mettendo a repentaglio la loro vita per dare un futuro democratico al Paese». Certo, concludeva, per fortuna i tempi erano diversi da quelli della lotta antifascista, ma a tutti «quell’evento deve insegnare come assumersi proprie responsabilità sia un dovere ineludibile».

 

 

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